21 dicembre 2021
Rieccoci dopo un anno al “rito” degli auguri. Ho scritto “rito” tra virgolette di proposito, per segnare la distanza che c’è tra il suo significato e ciò che col tempo è diventato. Un po’ come sta accadendo per il Natale che talora appare come un’abitudine, una consuetudine di un periodo in cui il rosso, le luci, gli addobbi, inducono ad una non consueta, ma per questo non più vera e sincera, vicinanza. Siamo al terzo Natale di quella che stiamo chiamando “l’era COVID”, un tempo in cui siamo passati da canti sui balconi, da solidarietà profusa e talvolta solo promessa, da vicinanza più o meno concreta a esasperazioni delle posizioni pro o contro il vaccino, pro o contro il green pass, pro o contro l’esistenza di questo virus, pro o contro la scienza, pro o contro il diritto, pro o contro tutto e tutti. Abbiamo fatto l’esperienza di come l’uomo moderno o meglio l’uomo “post moderno” si sia progressivamente allontanato dai principi più alti dell’umanesimo affermando l’idea folle che esistano “diritti individuali” fruibili in modo egoistico, sventolabili come clave per rivendicare il proprio arbitrio, dimenticando che tutta la filosofia, tutta l’antropologia, tutta la sociologia più illuminata, ci ribadisce che non abbiamo alcun “diritto individuale” ma abbiamo solo diritti “personali”, che ci appartengono come “persona” e non come “individui” e che questi diritti si realizzano nelle “obbligazioni morali” nell’affermazione che non è vero che “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, sintesi perversa del peggior nichilismo, ma che “la mia libertà è la tua libertà”. Abbiamo detto e scritto che sarebbe andato tutto bene, abbiamo scoperto che non è andato tutto bene per niente. Abbiamo detto e scritto che ne saremmo usciti migliori, a guardare bene non pare che sia andata così, basta guardare le recenti cronache per avere un’idea non troppo lusinghiera dell’uomo “post moderno”. E il problema è proprio l’essere “post”, mi sembra che l’uomo “post moderno” si posizioni nel tempo e nella storia “dopo”: dopo il suo bisogno di verità, che ha sacrificato sugli altari del relativismo, dopo il suo bisogno di relazione che ha immolato sugli scannatoi dell’individualismo, dopo la sua vocazione di apertura all’altro che ha offerto sulle are dei propri egoismi. Allora, se lo scenario, è questo che auguri può farvi un sindaco vecchio di carica e stanco della fatica di ciascuno? Vi auguro il coraggio di una saggia “ribellione”, non contro le restrizioni ma contro ogni divisione.
Vi auguro il coraggio di una sana “eversione”, non contro l’ordine e la legge, ma contro un modo di guardare la vita che dimentichi il valore di una comunità.
Vi auguro il coraggio di una salutare “trasgressione”, non delle regole ma davanti ad un mondo che immagina che trasgredire sia “violare” e si dimentica che significa invece “andare oltre”, oltre i bisogni del singolo, oltre i piccoli egoismi.
Vi auguro anche il coraggio del “sogno”, l’ambizione del “desiderio”, la tenacia di un “Amore grande”, la costanza di un “Affetto sincero”, la tenerezza della “fiducia”, la carezza di “un’emozione vera”, la purezza di uno “sguardo”, la fedeltà nella promessa che siamo chiamati alla felicità e che possiamo coglierla, insieme.
Vi auguro un Natale felice.
Vi auguro il coraggio di una sana “eversione”, non contro l’ordine e la legge, ma contro un modo di guardare la vita che dimentichi il valore di una comunità.
Vi auguro il coraggio di una salutare “trasgressione”, non delle regole ma davanti ad un mondo che immagina che trasgredire sia “violare” e si dimentica che significa invece “andare oltre”, oltre i bisogni del singolo, oltre i piccoli egoismi.
Vi auguro anche il coraggio del “sogno”, l’ambizione del “desiderio”, la tenacia di un “Amore grande”, la costanza di un “Affetto sincero”, la tenerezza della “fiducia”, la carezza di “un’emozione vera”, la purezza di uno “sguardo”, la fedeltà nella promessa che siamo chiamati alla felicità e che possiamo coglierla, insieme.
Vi auguro un Natale felice.